Stefano Carnicelli

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Una luce sinistra

Roma, la città eterna, vive l’apparente tranquillità di una notte d’estate. Nella caserma di Piazza Farnese ci sono i pochi carabinieri chiamati a svolgere il turno di notte. Nei momenti in cui il telefono non squilla, si scherza parlando del più e del meno. Mario è particolarmente allegro. In verità lo è sempre stato ma oggi ha diversi motivi per esserlo ancora di più… il recente matrimonio, il viaggio di nozze in un posto bellissimo, la festa del suo compleanno. E poi c’è il Napoli: la squadra del cuore. Non potrebbe essere altrimenti per uno che è nato e vissuto a Somma Vesuviana.

– Sono d’accordo sulla grandezza di Totti, Falcao e di tanti altri campioni ma noi, a Napoli, abbiamo avuto Maradona… mica pizza e fichi! -… è così che scherza Mario con i colleghi che tifano Roma.

– Sarà, ma er buon Maradona nu’ m’è sembrato mai no stinco de’ Santo! –… ribatte l’amico romano.

La notte sembra avanzare lenta e in modo spassoso. Fuori dalla caserma la vita del mondo procede con tutti i suoi carichi di destini diversi. Arrivano, ovattate, le musiche dei locali, i rumori della piazza e delle strade, i respiri di un’inarrestabile esistenza umana.

Sergio, anche se il nome non importa, e un suo amico sono in procinto di chiudere un piccolo affare. E’ un affare di droga con due ragazzi americani in cerca dello sballo in terra straniera. Purtroppo accade anche questo sotto i cieli infiniti della città eterna.

Ciò che succede dopo è il frutto di un parapiglia, di malintesi, di stupide furbizie. C’è aria di truffa e di rivalsa per aver spacciato tachipirina tritata per cocaina. C’è la voglia di dare una lezione al pusher: lo zaino rubato… le telefonate concitate… il ricatto… Sergio potrà riavere il suo zaino ma dovrà consegnare ai ragazzi americani un grammo di cocaina e i 100 euro estorti poco prima.

La telefonata al 112 sembra essere l’unica soluzione… Drin… drin… drin…

– Pronto Carabinieri… – è qui che inizia un nuovo destino.

Mario viene chiamato sul cellulare: dovrà intervenire con il suo collega per cercare di risolvere il problema dello zaino rubato. Scende dall’auto, tiene da parte Sergio, e si avvia a piedi, con il suo collega, verso il luogo dello scambio. Avanza fiero. Ha con sé tutto il suo carico di buon senso. Ha gli occhi generosi e il sorriso che appartiene al bene. E’ ottimista. Si qualificherà e risolverà la situazione senza alcun problema.

E’ una notte d’estate molto calda, è il 25 luglio. Eppure quei due ragazzi sono strani. Hanno la felpa e indossano anche il cappuccio. Mario non ha paura. Crede anche troppo nella giustizia.

– Siamo carabinieri… – è ciò che riesce a dire, esibendo il tesserino, prima dell’irreparabile.

Scrash!… La luce sinistra di una lama. Un violento fendente e Mario si accascia al suolo. Tutta la vita gli scorre davanti nell’attimo in cui sente di perderla. D’istinto porta le mani alla pancia per fermare il fiotto di sangue. La lama è uscita e il dolore è tremendo. L’istinto lo spinge verso una legittima difesa. I pensieri… si era sposato da poco, il 19 giugno, con Rosa Maria. Erano appena tornati dal viaggio di nozze in Madagascar; non aveva nemmeno disfatto i bagagli. Aveva ancora molto da raccontare a parenti, amici e colleghi.

Scrash!… Una nuova fitta di dolore; altro sangue. Le mani non possono farcela. Le forze si perdono. Il ricordo della sua attività di volontariato; faceva il barelliere per l’Ordine di Malta e accompagnava i malati a Lourdes e a Loreto. La sera di ogni martedì, invece, era dedicata alle persone senza fissa dimora che vivono nei pressi della stazione Termini; spesso portava loro da mangiare e donava i suoi vestiti se qualcuno ne aveva bisogno. Erano gesti di grande altruismo che avvenivano senza clamore. Lo faceva e basta, senza dire nulla, senza l’aspettativa di una gratificazione. Mario era così…

Scrash!… Una nuova offesa abbatte l’ormai labile difesa. Non ha rifugi o protezioni contro quella furia omicida. Il pensiero va agli amici, anche quelli di Somma Vesuviana con cui aveva festeggiato, appena 13 giorni prima, il suo compleanno. Era stata una stupenda serata non come la terribile notte che stava vivendo in quei momenti.

Scrash!… Sembra una lama impazzita che continua a colpire per mano dell’uomo. Qualcuno non gli aveva insegnato che erano tutti fratelli? Un errore di valutazione; forse non proprio tutti lo erano. La memoria vola alle spensierate partite di calcetto con l’immancabile cena finale. Le foto del post partita, ancora tutti sudati, stanchi ma sorridenti… gli sfottò… i commenti divertenti sul gruppo facebook…

Scrash!… Le forze non ci sono più e gli occhi si chiudono. Nella nebbia dei pensieri medita che non è giusto finire così… non potrà nemmeno fare quel viaggio che tanto sognava. Non potrà più tornare al San Paolo a tifare il suo Napoli. Per l’occasione, avrebbe indossato la maglia di Insigne e intonato, a fine gara, a gran voce, ‘O surdato ‘nnamurato

Oje vita, oje vita mia…
oje core ‘e chistu core…
si’ stata ‘o primmo ammore…
e ‘o primmo e ll’ùrdemo sarraje pe’ me!

Scrash!… Il corpo inerme non oppone più resistenza. Sussulta solo sotto il colpo inferto con inaudita ferocia. E pensare che 5 anni prima era corso per accompagnare una bambina al Bambino Gesù. Mentre faceva sempre il turno di notte, era arrivata la telefonata di una donna, vedova, che abitava vicino alla caserma. Quella madre era terrorizzata per la sua bambina che aveva 40 di febbre. Non tranquillo, era rimasto l’intera notte in Ospedale per alimentare coraggio e speranze. La successiva lettera di quella donna gli aveva procurato il meritato encomio solenne.

Scrash!… Il sangue ovunque; Mario è dilaniato dalla gola in giù. I desideri e i sogni non ci sono più. Non potrà abbracciare i figli che Rosa Maria gli avrebbe donato; non potrà rotolarsi con loro sui tappeti colorati alla ricerca dei sorrisi e delle risate più belle. Avrebbe voluto un bambino con cui condividere la passione per il calcio. Lo avrebbe portato allo stadio; intorno al collo, la sciarpa di lana del Napoli per difenderlo dal freddo umido delle giornate invernali. E poi una bambina con i suoi stessi grandi occhi azzurri carichi d’amore… sarebbe stata la sua piccola principessa. Soprattutto, li avrebbe portati in Chiesa; uno dei luoghi dell’anima a cui era più legato. Con gli anni, avrebbe costruito una casa a Somma Vesuviana per stare vicino alla madre e alla sua famiglia d’origine. Il sogno era di far crescere i suoi figli nei luoghi della sua infanzia. Aveva perso suo padre quando aveva appena 25 anni. Era stata una grandissima sofferenza perché non era pronto; non si è mai pronti di fronte alla morte. Aveva un disperato bisogno di essere ancora figlio. Eppure si era rimboccato le maniche occupandosi della famiglia; di Silvia, sua madre, e dei fratelli minori.

Scrash!… La morte non ha colore, ne’ sapore. Ormai è lì, al suo fianco, con il suo immenso carico di dolore. Sul viso una smorfia sospesa tra l’atroce sofferenza e la dolcezza di un eterno sorriso. Che immane tragedia! Con la sua bella fisicità, sarebbe stato un degno Babbo Natale pronto a far divertire i suoi bambini. Sotto l’imponente barba bianca, avrebbe camuffato la sua voce per essere credibile al solo scopo di rinnovare la magia del Natale evitando premature delusioni.

Sono 8 o forse più le coltellate ricevute dalla mano violenta di un ragazzo americano, compresa quella fatale che gli squarcia il cuore. Non conta il numero, il risultato finale è lo stesso: una morte ingiusta. In fondo, la morte è sempre immorale. Il tutto, per uno zaino presunto rubato, per qualche dose e pochi euro. La vita è ben altra cosa; non può essere bruciata, distrutta, cancellata, tra gli attimi interminabili che separano i colpi partoriti dalla follia umana. La vita rubata non potrà mai essere restituita; è un viaggio senza ritorno che nessuna giustizia, per quanto onesta, potrà rendere indietro. Di fronte a una fine di questo tipo è l’ingiustizia a vincere la partita; è una vittoria assurda e orrenda che non ammette repliche. E un’offesa commessa anche su un solo uomo, è comunque riferibile all’intera umanità.

E così finisce un’esistenza illuminata, ad appena 35 anni. Mario sognava un mondo migliore. Anche per questo si era arruolato nell’arma dei Carabinieri. Credeva nei valori della giustizia, della famiglia e della religione cattolica.

Forse quella notte non doveva nemmeno essere di servizio.

Forse era stato un errore recarsi, disarmato, a quel fatale appuntamento con la morte.

Essendo un buono, forse aveva fatto troppo affidamento sull’umanità delle persone. Una maggiore e legittima diffidenza lo avrebbe messo al riparo di fronte a tanta violenza.

Forse il buon senso non sempre è sufficiente a riparare le ingiustizie.

Forse un’infinità di altre cose che, con il senno di poi, avrebbero cambiato quel terribile destino.

Restava la certezza della fede che avrebbe aperto, a Mario, la porta di una nuova-luminosa vita.

Stefano Carnicelli

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