Stefano Carnicelli

SCRITTORE

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25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne…

Per questa giornata così importante e sentita, ho “rispolverato” un mio scritto. “Carta di giornale” racconta, attraverso la fantasia, la storia di Paola… spesso, purtroppo, anche dura realtà. Questo racconto fu premiato al premio Seneca 2019.

Carta di giornale

“Hai la maglia a collo alto … è caldo?”.

“Ho mal di gola, mamma … passerà presto”.

La maglia nera aveva il compito di nascondere i segni e non quello di tutelare una gola malandata.

Si era sposata giovanissima perché appariva giusto farlo e non perché ne fosse realmente convinta.

“E’ un bravo ragazzo”, le dicevano. “Un grande lavoratore”. Così aveva varcato la soglia della Chiesa di San Giuseppe, al braccio di un padre, al tempo sorridente, che era andato via troppo presto.

“Se ci fosse ancora lui, avrebbe capito”, pensava Paola. Il suo papà l’avrebbe salvata. Ora non era più quel tempo. Non si poteva tornare indietro. Il destino continuava a incasellare tessere in un mosaico irreversibile e senza ritorno.

Cosa avrebbe potuto dire alla madre? Da vedova, sempre con il nero addosso, sentiva sulle anziane e curve spalle il peso della morte.

“Ritieniti felice se tuo marito è ancora al tuo fianco!”, avrebbe risposto a qualsiasi tipo di preghiera o richiesta d’aiuto. Ne era certa: sua madre non poteva capire …

Paola non aveva altre persone su cui contare. L’affrettato matrimonio, la vita di moglie-casalinga, l’avevano isolata dal mondo. Ora si sentiva scaraventata in un tunnel buio, una sorta di condotto scomodo e maleodorante, in salita; da percorrere con i passi incerti della paura, che non ammetteva altra direzione al di fuori di quella imposta. E in questo terribile tunnel, non esisteva né il passo del ritorno, né la speranza di una luce finale.

Sentiva addosso una tristezza infinita. La percepiva in modo così netto e deciso, da sembrare una pelle fatta di catrame pronta a chiudere i pori della vita e della felicità. Nelle sue giornate, si dedicava solo il piacere della lettura del giornale. Tra quelle pagine senza tempo e senza spazio, provava a sognare sogni improbabili.

Il giorno delle nozze, Pietro aveva colto la sua purezza senza rispetto. Con la brusca fretta di un atto solo fisico, aveva sfogato la rabbia sessuale del maschio. Di quella sera, Paola non ricordava sorrisi, dolci parole, carezze o baci. Forse era stato quasi un bene non aver ricevuto una bocca che aveva il sapore del tabacco e degli eccessi dell’alcol. Un gesto meccanico, quasi brutale, che le aveva regalato dolore e fastidio prima di veder ricadere, al suo fianco, un corpo ormai pago e orgoglioso dell’atto.

Paola era restata immobile, respirando piano, senza farsi sentire, al ritmo di un rumoroso russare. Con lei, il dolore alla pancia e una verginità rubata ai sogni di ragazza che cercava l’amore. Le restava la macchia di sangue sul lenzuolo immacolato … la prova che rendeva fiero l’uomo sulle ferite che le si aprivano dentro.

Nel corso degli anni, quel maledetto atto meccanico si ripeteva con la puntualità di una luna che torna ogni sera a scandire la fine del giorno. Sentiva la mano greve insinuarsi ferocemente e senza rispetto tra le sue cosce. Non esisteva la dolcezza di un gesto delicato, né la bellezza di una parola d’amore sussurrata tra gli abbracci. Non esisteva il rifiuto … non poteva essere. La sera in cui Paola aveva provato a respingere, gentilmente, l’ennesimo assalto, ebbe, come risposta, uno schiaffo secco e deciso. Aveva le sue cose; per questo aveva chiesto un momento di riposo. Il rifiuto, invece, aveva alimentato ulteriormente la forza del maschio ormai sconvolto dalla rabbia e dai fumi dell’alcol. Affondò il colpo e la prese con brutalità dando sfogo ai peggiori istinti animali. Paola, sconvolta, tra lacrime silenziose, i pugni chiusi fino a conficcare le unghie nei palmi delle mani, sopportava pregando che tutto finisse al più presto. A lei restava un dolore fisico e morale, vissuto nella veglia che la portava verso un nuovo terribile giorno. Non era vita la sua vita.

Pietro voleva un erede, un figlio maschio; un’eventuale gravidanza al femminile non era contemplata. Nemmeno il conforto della confessione riusciva più a darle il sollievo dell’anima. In verità, approcciava l’intimità del sacramento omettendo particolari importanti … non menzionava mai le violenze subite tra le mura domestiche.

“Come va il matrimonio, Paola … ho visto il tuo viso carico di tristezza”.

“Così … vorremmo tanto avere un figlio che ci viene negato”.

“Ci vuole pazienza, mia cara. Dio non nega la gioia e il tempo ripaga”.

“Lo so … ma mio marito è tanto nervoso per questo …”. Più volte, nonostante la vergogna, aveva cercato d’imboccare la strada della verità che l’anziano parroco, forse, volutamente ignorava.

“Sii comprensiva con lui. È un brav’uomo. Vedrai che tutto si sistema”.

Di fronte a tanta miopia, si mordeva la lingua. Avrebbe voluto strillare in Chiesa, urlare al mondo intero tutta la sua rabbia sepolta sotto il peso insostenibile di tanta sofferenza. Il “non amore”, l’indifferenza, l’assenza di dolcezza, le umiliazioni del corpo e dell’anima, le percosse, gli scatti d’ira subiti, il puzzo dell’alcol, le carezze e i baci mai dati … si sarebbe finalmente liberata. E invece, incassava il prezzo della colpa. Tra i banchi, recitava, in ginocchio, inutili preghiere per ripulire un’anima già pura e duramente offesa.

Un giorno decise di prendere il coraggio a due mani. Molte coppie della loro età avevano già uno o due figli. Anche quella sera era stata presa in modo brutale.

“E’ tanto che proviamo e questo figlio non arriva. Forse ci sono problemi. Magari dovremmo consultare uno specialista”. Fu il silenzio … quello terribile che annuncia la tempesta.

La risposta fu violenta e immotivata …

“Sei una gran puttana! Ti scopo ogni sera e non resti incinta? La colpa è solo tua. Cosa pensi mentre ti sto sopra?”. Pietro era fuori di sé …

Schiaffi, pugni, offese si alternavano, con ferocia, sul corpo di Paola. Per ripararsi scelse la posizione fetale. Mai come allora avrebbe voluto ricacciarsi nel liquido amniotico per proteggersi dai traumi che subiva da anni … conoscendo il suo attuale destino, avrebbe scelto una vita da feto senza mai uscire dal grembo materno.

Questa volta i segni erano troppo evidenti. Nessuna maglia avrebbe mai coperto gli orrori dei colpi. Per non parlare delle offese morali che erano ben più dolorose dei lividi e delle tumefazioni sparsi, ovunque, sul suo giovane corpo. Con la scusa di un’infezione, evitò contatti con l’esterno. Visse in totale isolamento il tempo necessario per curare il suo corpo, per consentire, almeno al viso, di riacquistare un colore roseo contro un cattivo violaceo. Furono giorni quasi di quiete. Suo marito, addirittura, non era rientrato alcune notti … senza dare alcuna spiegazione, ammesso che lei le avesse cercate.

Era domenica. Pensò che sarebbe stato inutile andare in Chiesa. Per pranzo, aveva cucinato un’amatriciana. Non era uscita e al posto del guanciale, come aveva fatto altre volte, aveva usato la pancetta. Pietro era rientrato alle due e mezzo. Puzzava di vino; era alticcio. Paola lo aveva aspettato. Stava riscaldando la pasta sotto gli occhi carichi d’ira del marito.

Con fare furibondo si avventò sulla pentola. Si scottò la mano ma ebbe comunque la forza di scaraventare intorno gli spaghetti. Il sugo scolava ovunque, colorando il bianco delle pareti.

“Sei una stronza. Come puoi preparare l’amatriciana con la pancetta?”.

Questa volta Paola ebbe almeno la forza di parlare … urlava.

“E basta! Smettila … sei ubriaco. Quante volte hai mangiato la stessa pasta senza fare scenate?”. Si sentiva forte, ora. Finalmente, era riuscita a gridare. Aveva la testa alta e, con sguardo fiero, penetrava gli occhi del marito.

Come poteva essere? Una ribellione? Un’alzata di testa? Come un pazzo, senza controllo, si gettò sul collo di Paola e iniziò a stringere.

“Come ti permetti puttana!”.

Paola non riusciva a parlare. Sentiva l’abbandono delle forze sotto la stretta feroce delle mani che stringevano sempre di più. Faceva fatica a respirare mentre gli occhi erano pronti per saltare dalle orbite. Quando ogni segno di vita sembrava smarrito, chiuse gli occhi e lasciò che il suo corpo, ormai sfinito, cadesse a terra come un sacco vuoto. Fu in quel momento che Pietro mollò la morsa per fuggire via … come un codardo.

Paola era di nuovo a terra, in posizione fetale. Si rese conto di essere ancora viva dai colpi di tosse che scossero il suo corpo. Respirava in modo famelico braccando l’aria. La faccia sul pavimento sfiorava ciò che restava del suo piatto. Gli spaghetti avevano un ottimo odore. Piangendo, li assaggiò dal pavimento … erano buonissimi. Masticò con calma e sentì montare una risata isterica.

Passò circa un’ora. Ripulì per bene la cucina. Si sentiva forte. Quante volte aveva letto sui giornali storie di violenza … e di rinascita. Mentre sistemava l’affilato coltello utilizzato per tagliare la pancetta, strinse con decisione il manico. Poi lo osservò e lo fece girare per capirne la pericolosità.

Sarebbe andata a salutare la madre. Erano giorni che non la vedeva. Poi avrebbe atteso il rientro di Pietro … comunque sarebbe andata, pensò: “domani, sarò carta di giornale” …

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